martedì 31 marzo 2009

La marcia di Mussolini nella politica italiana

Benito MussoliniImage via Wikipedia

Pubblicato venerdì 20 marzo 2009 in Inghilterra

[Independent]

Dopo aver portato la torcia del dittatore per 60 anni, il partito di estremadestra Alleanza Nazionale si unisce al partito di Silvio Berlusconi. È così la fine del fascismo in Italia? Proprio il contrario secondo l’articolo di Peter Popham.

Le fiamme si stanno spegnendo ovunque in Italia. Domani, la fiamma che per più di 60 anni è stata il simbolo della continuità neo-fascista con Mussolini, sparirà dall’orizzonte politico. Alleanza Nazionale, l’ultimo importante simbolo di quell’eredità, sta per “fondersi” con il partito di Silvio Berlusconi, Popolo della Libertà, per fornire al gruppo di governo una identità unica e un singolo capo incontestato.

Il cambio si è fatto aspettare per molto tempo, più di 15 anni. Berlusconi ha rotto il grande tabù della politica italiana del dopoguerra quando, dopo aver vinto la sua prima elezione generale nel 1994, ha incluso quattro membri di Alleanza Nazionale nella sua coalizione.

C’erano dei buoni motivi per cui includere i fascisti e i neo-fascisti era un tabù. Prima di tutto, il loro ritorno dopo che avevano portato la nazione in rovina durante la guerra, era vietato dalla nuova Costituzione, il cui articolo 139 afferma “È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista.”

Il divieto è stato infranto molto più che osservato dal 1946, quando Giorgio Almirante, il leader del Movimento Sociale Italiano, prese il testimone di Mussolini proprio dove egli l’aveva lasciato alla sua morte e portò il nuovo partito in Parlamento. Tuttavia i neo-fascisti rimasero nel limbo parlamentare, lontani dal potere. Berlusconi ha spazzato via quella inibizione.

Sotto la scaltra leadership di Gianfranco Fini, i “post-fascisti” da allora hanno sempre guadagnato terreno. Alto, con gli occhiali, riservato, l’opposto di Berlusconi in tutti i sensi, il leader di Alleanza Nazionale ha colpito favorevolmente gli Eurocrati con le sue credenziali democratiche quando fu coinvolto per dare una mano a scrivere la nuova Costituzione dell’Unione Europea.

Fini ha fatto di tutto e di più per rompere le connessioni del suo partito con l’anti Semitismo, facendo molteplici visite ufficiali a Israele dove è stato fotografato con la kippah vicino al Muro del Pianto. Durante una visita, nel 2003, addirittura condannò Mussolini e le leggi razziali del 1938 che impedivano agli ebrei di frequentare le scuole e provocarono la deportazioni nei campi di concentramento di migliaia di persone. “Ho davvero cambiato idea su Mussolini” ha detto allora. “E condannare (le leggi razziali) significa assumersene la responsabilità”. Da perfetto statista, queste parole gli si sono incollate addosso.

I membri del partito più tradizionalisti come Alessandra Mussolini, l’affascinate nipote del Duce [N.d.T., in italiano nel testo], erano furiosi e si sono allontanati da AN per formare micro-partiti fascisti per conto loro. Ma alla fine la strategia di Fini ha vinto. Sotto la protezione di Berlusconi, egli è diventato Ministro degli Esteri, vice-presidente del Consiglio e adesso presidente della Camera, un posto più prestigioso del suo equivalente britannico. Da indisputato numero due nel neo formato partito, è anche il suo erede immediato.

I puri e duri [N.d.T, in italiano nel testo], gli elementi fascisti irriducibili, sono rimasti a digrignare i denti e a urlare vendetta. Un gruppo voleva inscenare una cerimonia per sottolineare l’estiguersi della fiamma all’Altare della Patria, il simbolo a forma di torta nuziale che sovrasta Piazza Venezia a Roma. Il sindaco della città, che per ironia della sorte è egli stesso da sempre un post fascista, ha vietato la cerimonia. Ma i duri e puri non si arrenderanno. “Alleanza Nazionale muore, la Destra vive!” dichiarano i volantini diffusi da uno dei partiti di estrema destra, il cui simbolo è formato da una fiamma gigante.

“Oggi col tradimento delle nostre idee, della nostra storia e della nostra identità” grida uno dei loro leader, Teodoro Buontempo, il presidente nazionale del partito La Destra, “abbiamo il dovere di spiegare, ora più che mai, che il nostro partito nacque per assicurare la continuità dei nostri ideali… [Unitevi a noi] per urlare la vostra indignazione contro un potere costituito da irresoluti e persone senza importanza.”

“Le Bande Nere”, un libro d’inchiesta sull’estrema destra di Paolo Berizzi e pubblicato in Italia questa settimana, riporta che “almeno 150.000 giovani italiani sotto i 30 anni vivono seguendo il culto del fascismo e del neo-fascismo. E anche se non tutti, molti lo fanno nel mito di Hitler.” Cinque minuscoli partiti registrati prendono l’1.8% del voto nazionale, cioè hanno tra i 450.000 e i 480.000 elettori. Questi sono numeri significativi, eppure anche sommati non raggiungono lo sbarramento del 4% necessario ad entrare in Parlamento. Secondo questi dati, l’elemento fascista in Italia non è più significativo di quello del Partito Nazionale Britannico in Gran Bretagna: una cosa irritante e imbarazzante che può fare rumore e vincere delle battaglie futili, ma nient’altro.

Nonostante le affermazioni contrarie dei lunatici di destra, lo spegnimento della fiamma fascista non significa che le idee fasciste sono sparite dalla scena politica italiana. Piuttosto è vero il contrario. Quindici anni dopo che Berlusconi ha portato il partito neo fascista all’interno del parlamento, il suo impatto in politica non è mai stato più forte né più sgradevole. Secondo Christopher Duggan, l’autore britannico di “Force of Destiny” [N.d.T., La forza del destino], una elogiata storia dell’Italia moderna, la fusione dei due partiti non segna la scomparsa delle idee e delle pratiche fasciste, ma piuttosto il loro trionfante insediamento. “Questa è una situazione allarmante in molti, molti sensi” afferma.

“La fusione dei partiti significa l’assorbimento delle idee post-fasciste nel partito di Berlusconi … la tendenza a vedere nessuna distinzione morale o anche politica tra coloro che sostenevano il regime fascista e coloro che sostenevano la Resistenza. Così il fatto che il fascismo fosse bellicoso, razzista e illiberale viene dimenticato; c’è un coro silenzioso nella pubblica opinione che sta dicendo che il fascismo non era così male.”

Un esempio del modo in cui le cose stanno cambiando è il trattamento dei veterani della Repubblica di Salò, lo stato fascista fantoccio governato da Mussolini sulle rive del Garda durante l’ultima fase della guerra. Agli ordini di Hitler e con la responsabilità di mandare gli ebrei nei campi di concentramento, Salò era vista dagli italiani nel dopoguerra come il capitolo più nero della storia moderna del Paese.

Eppure costantemente e silenziosamente è stato riabilitato nella memoria italiana. L’ultimo passo, prima del Parlamento, è la creazione di un nuovo ordine militare, il “Cavaliere di Tricolore”, che viene riconosciuto alle persone che combatterono per almeno 6 mesi durante la guerra, sia dalla parte dei partigiani contro i “nazi-fascisti”, sia con le forze della Repubblica di Salò a favore dei nazisti e contro i partigiani, oppure contro le forze sotto il Generale Badoglio a sud. In questo modo, secondo Duggan, viene introdotta un’idea di morale intercambiabile nel dibattito nazionale, mettendo i soldati che lottarono per lo stato-fantoccio nazista “sullo stesso piano morale e politico dei partigiani”.

Duggan confronta il processo del dopoguerra italiano con quello che avvenne in Germania, dove il processo di Norimberga e l’epurazione della vita pubblica sorvegliata dagli Alleati produsse un nuovo panorama politico. Niente di tutto ciò avvenne in Italia. “Non ci fu mai un chiaro spartiacque tra l’esperienza del fascismo e ciò che avvenne dopo. Ciò è in parte colpa degli Alleati che, dopo la guerra, erano molto più preoccupati a prevenire che i Comunisti prendessero il potere. Il risultato di ciò fu che i più anziani nell’esercito, nella polizia e nel sistema giudiziario non furono epurati. Ad esempio, Gaetano Azzariti, uno dei primi presidenti della Corte Costituzionale italiana nel dopoguerra, sotto Mussolini era stato il presidente della corte che aveva il compito di far rispettare le leggi razziali. Inoltre il fatto che gli Alleati non fecero pressioni sull’Italia, riflette una percezione che sussiste ancora oggi: che il revival fascista non deve essere preso seriamente in quanto l’Italia è un “peso leggero”. Mentre se la stessa cosa accadesse in Germania o in Austria, ci si preoccuperebbe molto di più”.

La diffusa sfida alla Costituzione anti-fascista può essere vista nell’abbondanza di partiti ad ispirazione mussoliniana; nelle migliaia di persone che accorrono a Predappio, luogo di nascita di Mussolini, per celebrare la sua marcia su Roma, il 20 ottobre di ogni anno; nei negozi e le bancarelle dei mercatini che continuano a vendere i busti del Duce e altri ricordini fascisti di ogni tipo. Molto più allarmante, dice Duggan, e ciò che sta succedendo al carattere nazionale al di fuori dei riflettori , dove la costante erosione e il discredito delle istituzioni statali gioca a favore di una élite dittatoriale, proprio come fece negli anni ‘20.

“Ciò che è davvero odioso non è solo la riabilitazione sistematica del fascismo ma lo sgretolamento di ogni aspetto dello stato, per esempio la Giustizia, con il risultato che le persone sentono il bisogno di buttarsi fra le braccia di un uomo che credono possa sistemare le cose. Si creano delle relazioni molto personali con il leader, infatti nel caso di Mussolini egli riceveva 2000 lettere al giorno da persone che gli chiedevano di essere aiutate. Se lo stato non funziona, si dà completa fiducia ad un uomo che possa alzare il telefono e risolvere i problemi. È così che il liberalismo è scomparso negli anni Venti, con la costante diffamazione del parlamento cosicché alla fine non ci fu neanche la necessità per Mussolini di abolirlo, lui semplicemente lo ignorò. Qualcosa di molto simile sta succedendo oggi in Italia.”

[Articolo originale di Peter Popham]


Italia dall'Estero
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lunedì 30 marzo 2009

Alitalia: Sindacati Chiedono Incontro e Blocco Trasferimenti

(ASCA) - Roma, 27 mar - Un incontro urgente con l'azienda e il blocco dei trasferimenti della linea tecnica. Queste le richieste di Filt-Cgil, Fit (A047370.KQ - notizie) -Cisl, Uiltrasporti e Ugl trasporti inviate in una lettera al Direttore delle Risorse Umane di Alitalia (Milano: AZA.MI - notizie) , Distefano e al Direttore delle Relazioni Industriali, G. Depaoli. ''In relazione alla vostra unilaterale decisione di inviare lettere di trasferimento senza alcuna intesa tra le parti - si legge nella lettera -, al personale della linea tecnica, e in considerazione del clima di forte tensione esistente siamo a richiedervi di sospendere tale iniziativa e di programmare urgente incontro sulla materia''.
Alitalia: Sindacati Chiedono Incontro e Blocco Trasferimenti

giovedì 26 marzo 2009

Saviano: «Silenzio colpevole che non permette al Paese di capire»

nel suo monologo sulla forza della scrittura a «Che tempo che fa»

La dura requisitoria dello scrittore di «Gomorra» che mette sotto accusa i giornali locali

Lo scrittore Roberto Saviano e Fabio Fazio (Omega)
Lo scrittore Roberto Saviano e Fabio Fazio (Omega)
MILANO - È una guerra quella che si sta combattendo nel sud che uccide una, due, tre persone al giorno, tutte vittime di camorra. Roberto Saviano nel suo monologo sulla forza della scrittura a «Che tempo che fa» lo ha voluto ricordare denunciando che «tutto questo vive di un silenzio spesso colpevole perché non permette al Paese di capire cosa sta succedendo».

I GIORNALI - È una requisitoria, la sua, che prende spunto dai titoli dei giornali locali, dal modo in cui parlano dei boss, chiamandoli col soprannome, nel modo in cui dicono quello che loro pensano, facendo da cassa di risonanza. Raccontano questi giornali ciò che accade tutti i giorni «qualcosa che ha a che fare con la guerra e che ogni tanto ci raggiunge quando si sparge molto e ci sono grandi tragedie». Altrimenti i due o tre morti di ogni giorno «la cronaca nazionale li ignora».

POLITICA - Non solo però dei giornali ha parlato Saviano ma anche della politica che non parla di crimine organizzato perché «ha paura di affrontare l'argomento perché teme che sia perdente». «La cosa più grave che può fare la politica - ha aggiunto - è il silenzio. La cosa più grave che possono fare gli elettori è scegliere il silenzio». Quando la camorra, infatti, secondo lo scrittore che da 895 giorni vive sotto scorta per il suo libro-denuncia «Gomorra», uccide «non lo fa con le pallottole ma con la diffamazione».

FASTIDIO PER LE ACCUSE DI ESSERMI ARRICCHITO - È una «accusa ingiusta» quella fatta a Roberto Saviano di essersi arricchito con il suo libro Gomorra. Saviano ha parlato di un vero e proprio «fastidio per l'accusa». «Sono i lettori - ha detto - che mi danno la possibilità di vivere e pagare gli avvocati». Ha però aggiunto che è vero che lui cerca di raggiungere il maggior numero di persone possibili. Lui stesso si è definito «un'operazione mediatica» per far arrivare le informazioni al numero più alto di persone possibili. Parlando delle accuse di plagio, ha invece citato l'intervista che fece con Enzo Biagi. «Lui mi disse - ha ricordato - "sei arrivato davvero quando fanno un falso del tuo libro e ti accusano di plagio" e io ce li ho tutti e due».

IL VOTO - Non bisogna fare una scelta fra Destra e Sinistra al momento del voto ma scegliere la parte «legalitaria» di qualsiasi partito si intenda votare. In vista delle elezioni del 6 e 7 giugno Roberto Saviano ha dato questa indicazione a chi voterà. «Agli elettori - ha detto - mi va di dire di non cambiare idea ma scegliere secondo la tradizione legalitaria della propria parte». Saviano considera il fatto che partiti di tutto l'arco costituzionale e anche extra costituzionale gli abbiano chiesto di intervenire, «un segno che sono stanchi di vedere la battaglia di mafia come di parte».


25 marzo 2009(ultima modifica: 26 marzo 2009)


Corriere della Sera

mercoledì 25 marzo 2009

Uomo si dà fuoco in Campidoglio

Ricoverato all'ospedale sant' Eugenio. Un amico: «Era disperato perché senza lavoro»

La bottiglia utilizzata dall'uomo per cospargersi di alcol (Benvegnù-Guaitoli)
La bottiglia utilizzata dall'uomo per cospargersi di alcol (Benvegnù-Guaitoli)
ROMA - Un uomo, V.C., 39 con precedenti penali per rapina e altri reati gravi, si è dato fuoco in piazza del Campidoglio a Roma. Ancora ignoti i motivi del gesto, anche se probabilmente si legano al disagio sociale e alla mancanza di un lavoro. «Sono disperato» avrebbe detto ai soccorritori, prima di essere ricoverato al centro grandi ustioni dell' ospedale sant' Eugenio, non in gravi condizioni, ma con ustioni sul 10% del corpo.

«SONO UN DISOCCUPATO» - «Sono un disoccupato, il mio era un gesto dimostrativo» ha poi detto l'uomo ai medici del reparto grandi ustionati dell'ospedale Sant'Eugenio dove è ricoverato. Secondo quanto affermano fonti mediche l'uomo avrebbe ustioni di secondo e terzo grado alla nuca e alle orecchie. Le condizioni generali sono comunque buone.

I PRIMI SOCCORSI - L'uomo si era cosparso di liquido infiammabile e si è dato fuoco. A intervenire immediatamente sono stati i carabinieri dell' antisabotaggio e dell' unità cinofile che stavano effettuando una bonifica dell' area antistante il palazzo senatorio in previsione della visita dei Reali di Svezia in Campidoglio. C'era stato un altro precedente simile in Piazza Navona il 9 giugno scorso, quando un altro pregiudicato napoletano si diede fuoco e poi si gettò nella fontana.

DISPERATO PER LA DISOCCUPAZIONE - Ricoverato al S.Eugenio è stato raggiunto da un amico, Celestino, che ha confermato la versione dell'uomo. «Era disperato, non riusciva a trovare lavoro e per questo martedì aveva già minacciato di darsi fuoco - dice l'amico - poi stamattina alle sei l'ho visto, mi ha salutato, mi ha detto "ci vediamo dopo", aveva gli occhi pieni di rabbia». Proprio martedì, racconta la sua compagna Paola, gli era stato comunicato che non avrebbe percepito alcun indennizzo di disoccupazione dopo il licenziamento dalla cooperativa di servizi dove lavorava fino allo scorso ottobre.


25 marzo 2009


Corriere della Sera

sabato 21 marzo 2009

Mafie; Duomo di Napoli gremito per veglia di 'Libera'

Mafie; Duomo di Napoli gremito per veglia di 'Libera'
Napoli, 20 mar. (Apcom) - La cattedrale di Napoli era gremita e, in più occasioni, sono partiti applausi in ricordo delle vittime innocenti di mafia e camorra. È durata circa due ore la veglia presieduta dal cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo del capoluogo campano, e concelebrata con altri sacerdoti tra cui don Luigi Ciotti, 'anima' dell'associazione Libera. "Questa chiesa affollata testimonia che noi non ci arrendiamo - ha detto Sepe dall'altare - e che chi è stato ucciso continua a vivere, siamo qui riuniti per fare memoria e per non dimenticare. Ai colpevoli - ha proseguito il cardinale - dico convertitevi perchè verrà il giorno del giudizio universale". Tra i banchi tante persone comuni, ma anche i parenti di cinquecento vittime innocenti uccise dalla criminalità organizzata. Nomi che sono stati scanditi ad uno ad uno prima dell'inizio della celebrazione. In prima fila il sindaco di Napoli, Rosa Russo Iervolino, il segretario del Pd, Dario Franceschini, il prefetto di Napoli, Alessandro Pansa, il presidente della Provincia di Napoli, Dino Di Palma, il segretario regionale del Partito democratico, Tino Iannuzzi, e altri parlamentari campani. Ma anche rappresentanti del sindacato e numerosi giovani, soprattuto scout che, ai piedi dell'altare, hanno ascoltato seduti a terra e con lunghi striscioni le parole pronunciate durante la veglia. Momenti di commozione, anche, da parte dell'arcivescovo di Napoli quando il padre di don Peppino Diana, il sacerdote trucidato dalla camorra a Casal di Principe 15 anni fa, ha consegnato la stola del figlio al cardinale Sepe. Applausi scroscianti per ricordare un prete che è stato ucciso dalla camorra proprio nella sua parrocchia. "Ti ringrazio - ha detto don Ciotti rivolgendosi al cardinale Sepe - perchè ci siamo sentiti accolti in questa chiesa. C'è sempre tanta, tanta fatica ma anche tanta speranza in ognuno di noi ogni giorno. Ogni volta che guardiamo negli occhi chi ha perso i propri cari è dura, ma dobbiamo 'salire sui tetti ad annunciare parole di vita' così come diceva don Peppino Diana". Ma don Ciotti ha anche avuto parole per Napoli che domani ospiterà la manifestazione nazionale in memoria delle vittime delle mafie promossa proprio da Libera. "Napoli è una città forte e amara, con tanti problemi ma generosa e coraggiosa e non saranno pochi gruppi criminali a metterla in ginocchio. Diamoci da fare tutti insieme. E cerchiamo di ricevere una 'pedata' da qualcuno che è in alto. Forse - ha concluso don Ciotti - San Gennaro ci può essere di aiuto...". E di Napoli ha anche parlato il primo cittadino partenopeo Rosa russo Iervolino che ha auspicato che il lungomare di Napoli, sul quale domani sfileranno migliaia di persone diventi "per sempre un emblema della volontà di questa città ad essere civile. Una città che rifiuti la sopraffazione e che stia dalla parte della giustizia e della legalità. La camorra - ha detto ai giornalisti il sindaco - è frutto di violenza, ma prolifera in un mondo dove miseria e povertà sono purtroppo ampie, se fossimo a Trento o a Trieste la situazione sarebbe molto più facile. Non è che i napoletani sono più malavitosi di altre popolazioni ci sono qui - ha concluso - situazioni più povere e più disperate


APCOM